domenica 25 gennaio 2009

Che giustizia sia fatta


Giustizia, giustizia, giustizia. La si invoca da ogni parte. Fuori e dentro i tribunali, dopo un delitto, in risposta ad un caso di malasanità, a seguito di un sopruso. Che giustizia sia fatta, dateci giustizia, vogliamo solo giustizia. Quante volte frasi come queste si sentono rimbalzare dallo schermo televisivo o si leggono stampate a caratteri cubitali sulle pagine dei giornali. Certo, la richiesta di giustizia è un sentimento umano, umanissimo. Come non capire chi, vedendosi vittima di un crimine, ha come principale obiettivo quello di veder punito il proprio carnefice? C’è, però, da chiedersi quanto sottile sia il confine che separa la richiesta di giustizia dalla voglia di vendetta e quante volte nell’invocare la prima, in realtà, questo confine non venga superato.
A volte la rabbia per una condanna mancata o ritenuta troppo leggera sembra superare di gran lunga il dolore per la perdita di un parente, così come il sollievo per una pena giudicata appropriata sembra quasi compensare la sofferenza causata da una morte o da una sopraffazione. Mentre l’amore per il congiunto perduto appare quasi sopravanzato dall’odio per il colpevole. Allora davvero mi chiedo se non si stia travalicando il limite di una legittima sete di equità e ci si stia, invece, dissetando alla fonte della rivalsa.
Con questo non voglio dire che i colpevoli non andrebbero perseguiti e catturati e non andrebbe loro comminata una pena appropriata e proporzionale alla colpa commessa, ma quella deve essere una preoccupazione dei giudici. Quel che dico è solo che mi pare che l’eccessiva preoccupazione per le sorti del reo vada, da una parte, ad alimentare ancor più un dolore già intenso, dall’altra a nutrire parti di noi (rancore, risentimento, ritorsione) che non fanno che accrescere in generale il male che ci circonda. Oltre al fatto che assecondare emozioni come queste comporta anche il rischio di legittimare, se portate all’estremo, azioni altrettanto delittuose.
Non cercano, forse, giustizia, dal loro punto di vista, palestinesi ed israeliani restituendosi vicendevolmente esplosioni e bombardamenti? Non è forse un – seppur malinteso e spesso malato – senso di giustizia che induce alcuni ad eliminare fisicamente chi, ritengono, si sia comportato male nei loro confronti? O ancora, per citare situazioni meno drammatiche, ma non per questo meno gravi nel bilancio tra bene e male, non è forse per riparare a torti che riteniamo di aver subito che noi stessi, quotidianamente, ci consentiamo piccoli soprusi?
Ad ogni modo, ritengo che, se si diffondesse maggiormente un punto di vista, purtroppo ancora molto lontano dalla nostra mentalità, e secondo cui la vita è sempre e comunque giusta e perfetta e sempre e comunque ogni azione, nel bene e nel male, viene prima o poi ripagata con il suo corrispettivo, indipendentemente dal nostro accanimento, forse tanta parte di dolore sarebbe lenita e molti più sarebbero i casi di chi, per aver subito un’ingiusta perdita destinano il loro tempo e le loro energie a compensare con altrettanto amore l’odio che è stato loro dimostrato, riuscendo a trasformare una tragedia in un moto di compassione costruttivo e benefico.
Quindi, che giustizia terrena sia pur perseguita, ma senzamai dimenticare che la Giustizia Universale trionferà sempre e comunque.

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